martedì 7 aprile 2009

Il Web e le comunità documentali, di Maurizio Ferraris

Si parla molto in questi mesi di Facebook, si dibatte se valga la pena di entrarci e soprattutto ci si chiede un po' angosciatamente come fare a uscirne una volta che ci si è dentro. Ma è la punta emersa dell'iceberg, in un mondo del web dove sono possibili tradimenti, pellegrinaggi a Fatima, shopping a Londra e persino confessioni via email, con assoluzioni per posta ordinaria. Ecco il mondo nuovo, altro che la conquista di Marte.

Un mio amico che insegna a New York e ha la famiglia in Italia, si vede da anni recapitare ogni giorno la spesa che la moglie fa per lui sul sito di un supermercato americano. Nella sua semplicità, questa situazione rivela trasformazioni impensabili poco tempo fa e suggerisce interrogativi che la fantascienza non si era mai posta. Per esempio, le suore di clausura che oggi navigano su internet sono ancora in clausura? Di certo, un detenuto che, per ipotesi, avesse accesso a Second Life non sarebbe davvero in prigione, ed è per questo che il web è vietato in carcere.
Quando si è parlato del telelavoro non si pensava che si sarebbe stata anche la teleamicizia, la telefamiglia e la televita. Quelle che si creano o si trasformano sono comunità, non solo circuiti di sapere nello stile di Wikipedia, come si pronosticava non molto tempo fa (L'intelligenza collettiva di Pierre Lévy è del 1994). La trasformazione non riguarda quello che si sa (per importante che sia), ma quello che si fa, come lo si fa, e il modo in cui lo si vive.

Qual è la vera leva di questo gigantesco cambiamento, che non è avvenuto all'epoca della televisione, dei telefoni e dei jet, ma ha dovuto attendere i computer e i telefonini? Si risponde spesso che la svolta dipende dal "virtuale", che vuol dire tutto e niente. Io azzerderei una risposta un po' più precisa. Secondo me, il vero eroe è l'estensione ".doc", quella abbrevazione di "documento" che ha invaso la nostra vita da un paio di decenni. Le comunità virtuali sono comunità documentali, basate cioè sulla condivisione di scritture e di protocolli invece che di parole e di vicinanza fisica. E non è affatto detto che siano più inautentiche delle comunità "naturali". Di certo, al loro interno c'è un dialogo più intenso. Ecco il senso del cambiamento.

La documentalizzazione della vita, in effetti, non è una novità assoluta: religioni si sono formate sui libri, nazioni su costituzioni, opinioni su giornali, e già Werther e Jacopo Ortis si struggevano sulle chat dell'epoca. Ma, come sempre, il web, grande rete di scritture e di registrazioni, ha portato un salto di qualità, per non parlare delle biotecnologie, dove la gestione della vita è sempre più documentale: dal Dna ai protocolli per la fecondazione assistita, alle famiglie basate sui documenti piuttosto che sul sangue.
Se le cose stanno così, siamo solo sulla soglia di una trasformazione piena di promesse (e non solo di minacce, come vogliono i conservatori), in cui sembra realizzarsi la credenza rabbinica narrata da Gershom Scholen nei Segreti della creazione: il mondo è stato costituito da una aggregazione di lettere.


Il contributo è tratto da:
- Wired, No. 2, Aprile 2009

L'immagine appartiene a:
- www.labont.it

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